Giancarlo Brugnolotti
Croce al valor militare alla memoria.
Nato a Cremona il 6 agosto 1921, fucilato a Milano il 21 aprile 1945, operaio.
Da bambino aveva abitato nel Comasco e a Milano, dove i suoi genitori si erano via via trasferiti; quando il padre aveva trovato lavoro in una rubinetteria di Lumezzane (Brescia), anche il giovane Giancarlo l’aveva seguito ed era stato assunto come operaio. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale si era arruolato volontario e nel 1942 aveva combattuto a El Alamein. Rimpatriato per malattia contratta in Egitto, l’8 settembre 1943 si trovava a Novara, carrista nel Reggimento Lancieri. All’armistizio non ebbe esitazioni ed entrò nella Resistenza, partigiano della CXXII Brigata Garibaldi che operava in Val Trompia al comando di Leonardo Speziale e Giuseppe Gheda e poi, sino a che non cadde in mano ai nazifascisti, di Giuseppe Verginella. Dopo i colpi subiti dalla CXXII Garibaldi nell’autunno-inverno 1944, Brugnolotti scese a Milano e continuò nella lotta come gappista. Combattè con i patrioti di Giovanni Pesce sino alla vigilia dell’insurrezione. Il 21 aprile, con un altro compagno, assaltò la sede del Gruppo rionale fascista prossima a Porta Venezia e fu raggiunto dagli inseguitori mentre si stava allontanando in bicicletta da via Cadamosto. Catturato quando ebbe esaurite le munizioni e trascinato nell’edificio, il gappista vi fu vanamente interrogato e torturato per alcune ore. Riportato all’esterno della sede fascista, Brugnolotti fu eliminato a ridosso della chiesa di Santa Francesca Romana. Nel 1978 il Presidente Pertini ha concesso alla memoria di Brugnolotti la Croce al valore con questa motivazione: “Nel corso di un’azione di sabotaggio contro un agguerrito nemico veniva catturato. Durante la prigionia, pur sottoposto a lunghi interrogatori e a crudeli sevizie, nulla lasciava trapelare che potesse nuocere alla causa della libertà e ai suoi compagni di lotta. Il 21.4.1945 affrontava con ammirevole comportamento il plotone di esecuzione al grido di <Viva l’Italia libera>.
(fonte: anpi)
RICORDO DI GIANCARLO BRUGNOLOTTI
(da una pubblicazione ANPI in collaborazione con il COMUNE DI LUMEZZANE e la COMUNITA MONTANA DELLA VAL TROMPIA)
Brugnolotti Gian Carlo (Gianni) nato a Cremona il 6.8.1921, figlio di un operaio di Lumezzane - impiegato - già operante nelle brigate milanesi dei GAP, nell'estate del 1944 si trasferì in Valsabbia collaborando con la 122a brigata «Garibaldi». Ricercato dalle Brigate Nere, ritornò a Milano tra i compagni della 3 a GAP di Giovanni Pesce.
«Aveva 24 anni - scrive G. Valzelli - l'occhio pieno di ardore, un fascino del tulto concreto, un impeto trascinatore. Giancarlo Brugnolotti, «Gianni», per gli amici della montagna. Veniva da Cremona ma era già stato gappista a Torino e a Milano e lo braccavano quelli delle Brigate Nere. Passò l'estate del 1944 a sca-vallare tra la Val Trompia e la Val Sabbia, nella 122a Garibaldi. Per lui fu come una vacanza premio, la rischiosa peregrinazione da una baita all'altra. Vi attinse quella forza che, della innata arditezza, farà un esempio spartano di eroismo».
La medaglia d'oro al valor militare Giovanni Pesce, di cui il Brugnolotti era alle dirette dipendenze nel 3° GAP a Milano, così descrive nel suo libro, la fine di ·«Gianni» avvenuta all'alba della Liberazione.
«In una delle ultime azioni cade Giancarlo, un gappista giovanissimo. Giancarlo, minuto, magro, dall'aspetto insignificante, lento nell'esprimersi, era molto astuto, pieno di sensibilità e di coraggio».
LEGATO AD UNA SEDIA COL FILO SPINATO«Giancarlo e Mantovani avevano attaccato in pieno giorno, il 21 aprile 1945, la caserma di Via Cadomosto, tirando bombe a mano e sparando raffiche di sten contro i briganti neri che Stavano davanti alla porta, dietro sacchetti di sabbia, Continuano a sparare anche quando i fascisti reagiscono; bloccano col fuoco chi tenta di uscire o si affaccia alle finestre, Poi i due ragazzi tentano la fuga in bicicletta, Mantovani si allontana. A Giancarlo si rompe la calena. Circondato, continua a sparare fino a quando è colpito. Cade a terra e con lo "sten" costringe ancora gli inseguitori a rifugiarsi nei portoni, si rialza, riprende a correre; si lascia di nuovo cadere a terra, fingendosi morto. Nelle mani stringe una "sipe" a cui ha già tolto la sicura. Quando il gruppo dei fascisti gli è vicino lancia la bomba».
Catturato. subito dopo, viene trascinalo in caserma e seviziato per farlo parlare, per fargli dire il nome dei compagni.
«Lo legano a una sedia in mezzo alla strada – scrive ancora Valzelli – con il filo spinato che gli stringe le carni, lo colpiscono con bastoni acuminati, lo fanno bersaglio delle loro rivoltelle: una pallottola gli perfora il ginocchio ed entra nella seggiola, un 'altra gli trapassa la spalla. Lo stanno torturando e svenando».
Dopo tre ore di interrogatorio e torture, Brugnolotti, ridotto ad un ammasso informe di sangue viene trascinato oltre la strada e appoggiato. al muro di fronte alla caserma per la fucilazione.
Nell'attimo in cui i fascisti puntano il fucile, Giancarlo, raccolte le sue ultime forze, grida «Viva i partigiani! Compagni, andate avanti».
«Sembrano frasi ricostruite dalla leggenda - sottolinea Pesce - invece Giancarlo è proprio morto così. Lo abbiamo saputo dai medesimi briganti neri che lo hanno ucciso, quando, poche ore dopo, abbiamo dato l'assalto alla caserma di via Cadamosto e i responsabili della fucilazione di Giancarlo, prima di morire, ci hanno restituito la statura ideale del nostro compagno».
Così è morto Giancarlo Brugnolotti. ribelle tra Marcheno e Mura, «soldato senza uniforme di un esercito che si merita tutti gli onori dalla Patria».